Il fatto è accaduto oltre un anno fa e il professore dell’ateneo torinese è ricorso al TAR subito, ma attende ancora gli esiti della sua istanza. Il caso del professor Federico Vercellone, docente di filosofia di fama, accusato di ”sguardi lascivi“ – fatto alquanto difficile da testimoniare ma preso per vero dalle voci di corridoio dell’Università, a detta delle interessate lanciati durante un esame ad una studentessa esaminanda, aveva portato alla sospensione di un mese dall’insegnamento. Il fatto è rivelatore del clima perverso che si respira negli ultimi anni e dimostra come le accuse al docente universitario di Torino non abbiano niente a che fare con la giustizia come amministrazione della legge penale. Sono invece l’affermazione dello schema di una rivoluzione post femminista, per cui la colpevolezza dell’accusato è presunta e la sua innocenza va dimostrata ma la presunzione conta molto di più dei fatti. Vale infatti di più la parola senza contraddittorio di due ragazze, sia ben inteso che le violenze anche verbali vanno sempre condannate come quelle fisiche, ma arrivare addirittura a rovinare la reputazione e la carriera ad un professore per “presunti” ammiccamenti, pare troppo. Tutto questo ha portato ad un’umiliazione che è peggio di una condanna, anche perché non c’è stata una formale denuncia alle Autorità, ma come diceva Gioacchino Rossini “la calunnia è un venticello” e nel nostro sistema sociale, da sempre vale più di prove provate. Vercellone infatti dovrà tenere lezioni ed esami affiancato da un tutor, che controllerà le sue azioni e che probabilmente “dirigerà” in modo conveniente i suoi sguardi… Tutto questo però, a mio parere, non ha niente a che fare con la giustizia e l’inevitabile corollario mediatico non ha nulla a che fare con l’informazione.
Come ho più volte scritto, mi pare che si parta da una convinzione malata e cospiratoria che considera la violenza maschile non come reato da sanzionare, ma piuttosto come la violazione di una patriarcale legittimità, intrinsecamente, subliminalmente e storicamente accettata. Non sono un giurista ma il codice penale contiene una contraddizione evidente, cioè quella di avere incastonato nella sua essenza il postulato patriarcale della supremazia maschile e della sua legittimità a prevaricare il mondo femminile, che del resto è evidente ancora nell’intera organizzazione sociale italiana riguardo alle relazioni tra i sessi. Il post femminismo aggressivo e irragionevole parte dall’assunto che il corpo delle donne, che finalmente è tutelato dalla legge, sia già ab ovo violato e che l’accertamento delle responsabilità dei “presunti” colpevoli, peraltro già condannati senza sentenza, sia una nuova forma di “violenza del sistema”.
Così va in scena la vittimizzazione secondaria, conseguenza dell’applicazione dei capisaldi del giusto processo e della parità tra accusa e difesa, che di fatto priva le donne accusatrici di un diritto acritico di difesa, in realtà condizione indispensabile per ripristinare equilibri compromessi da una legge ancora sbilanciata verso il maschile.
Vorrei anche mettere un accento sulla differenza legittima che traccia il confine tra la violenza e offesa, tra la violazione del corpo e l’oltraggio della dignità, che da precedenza a ciò che forse volevano significare quella parola e quello sguardo, rispetto alla reale aggressione. Così la realtà e la presunzione si scambiano di grado e di priorità e la differenza di genere diventa l’espressione del maschilismo più tradizionale e becero. Non posso esimermi dal sostenere che in questo post femminismo aggressivo e lontano anni luce dalle legittime istanze del femminismo anni ’60 e ’70, l’unico vero desiderio, cavalcato da Media sciatti e ignoranti, sia il desiderio di annientamento della figura maschile e non il riconoscimento legittimo di pari diritti e trattamenti, nell’equilibrio sano e naturale di due mondi diversi e affascinanti che sono il femminino e il mascolino. Con questa paritaria affermazione spero il sistema legale e quello sociale accettino che gli accusati si difendano e che questo avvenga mettendo su due piani differenti e sottolineando la differenza che passa tra l’intemperanza e il reato, le esternazioni non gradite e la violazione della libertà sessuale della vittima.
L’ormai imposto sistema post femminista cerca di imporre il paradigma che la colpevolezza dell’accusato sia fortemente reale e che la sua innocenza vada dimostrata, con una inaccettabile sovversione dell’onere della prova. Siamo di fronte alla Giustizia o al Torquemada che cerca di dimostrare la colpevolezza o l’innocenza con la sopravvivenza a improbabili prove?
Termino dicendo che il rischio di emettere sentenze prima che ci sia un processo e la conseguente ed eventuale condanna –nel caso di Vercellone non c’è neppure la denuncia- porti la gogna mediatica a sostituirsi alla Legge e ai tribunali per soddisfare le aspettative del pubblico. Purtroppo, che le persone invischiate in questo sistema schizofrenico siano colpevoli o innocenti poco cambia, che siano assolte o condannate, saranno purtroppo vittime più delle presunte, di pregiudizio e malafede.