Loading

La società contemporanea, figlia dell’ottimizzazione dei tempi, ossessionata dal non disperdere ore, ed anche attimi, in attività ritenute secondarie come dedicarsi al proprio tempo libero (una rilassante cena, una passeggiata, una pausa per riflettere), sta lentamente riscoprendo il valore dell’otium latino che, ad una lettura superficiale pare voce negativa, da poltroni, mentre racchiude in sé un significato più profondo e molto saggio. Seneca ben ci illustra il concetto di otium, ovvero trovare il tempo per dedicarci alla coltivazione dei propri interessi distaccandoci dalle proprie attività materiali. É innegabile che il lavoro ha un ruolo chiave nella nostra vita, ma imparare a trovare del tempo per sé stessi è un esercizio da coltivare e che forse il tempo del Covid ci ha fatto riscoprire.

Tutto questo, a mio parere, ha uno stretto rapporto anche col cibo. Per risparmiare tempo consumiamo velocemente al bar la colazione, un panino di fretta a mezzogiorno (quando non si “salta” del tutto) e, arrivati stanchi e tardi dal lavoro, una cena allestita alla bella e meglio, possibilmente con cibi pronti. E in tutto questo dove sta il piacere? Dove sta la consapevolezza dei tempi che occorrono per avere un prodotto di qualità, abituati come siamo agli acquisti veloci, magari di prodotti taroccati o sottoposti a improbabili “maturazioni”, o proprio fuori stagione?

Abbiamo bisogno di bravi maestri per reimparare quanto il tempo sia importante, quanto esso sia oggi un vero lusso; e non c’è miglior maestro della Natura a cui volgere lo sguardo per imparare la lezione. La Natura ha i suoi tempi: fioriture, maturazioni, stagionature hanno bisogno di attese per donarci prodotti di pregio e noi dobbiamo saper attendere e conoscerne i ritmi. Non è un caso che già nel Settecento il filosofo tedesco Gotthord Ephriam Lessig abbia coniato la famosa frase “l’attesa del piacere è il piacere stesso”. Attendere la stagionatura di un formaggio per goderne appieno il sapore, attendere che il vino riposi in cantina prima di stapparlo con gli amici, acquistare e/o vendere frutta e verdura colte al giusto punto di maturazione, sono tutte cose ovvie ma non sempre praticate.

Un esempio forse banale: prima dell’avvento nelle nostre case delle macchinette a capsule e cialde per il caffè, c’era il piacere dell’attesa per vedere sgorgare dalla moka il caffe della nostra miscela preferita che spandeva nell’aria un profumo indimenticabile. Tempo lento che inaugurava le nostre giornate.

Il vero aceto balsamico di Modena opera la sua magia grazie al tempo: non va dimenticato peraltro che si tratta di risorse economiche importanti immobilizzate in appositi locali che solo dopo anni saranno poste in vendita: questo è il miracolo del tempo.

Il vero parmigiano reggiano, non quello spacciato per tale, non sarebbe un capolavoro apprezzato in tutto il mondo se il tempo non lavorasse per lui. Ricordo che anche in questo caso si tratta di capitali immobilizzati che daranno il loro ritorno dopo mesi se non anni. Questo vale naturalmente, è il caso di dirlo, anche per altri pregiati formaggi.

Oggi torna un’attività antica: l’orto di prossimità. I ristoratori che hanno uno spazio fruibile accanto al loro locale vi coltivano verdure e frutti di cui seguiranno la semina, la prima spunta e la raccolta per offrirli ai clienti al giusto punto di maturazione. Ecco il valore del tempo che ci insegna a rispettare la Natura, mesi e talora anni in cui essa lavora guidata dall’uomo per consentirci di godere dei suoi prodotti nel modo migliore.

Il rispetto della stagionalità e dei suoi tempi è un indubbio valore aggiunto di cui dobbiamo tenere conto e che purtroppo la società globalizzata e frettolosa ci ha fatto dimenticare. Ogni volta che acquistiamo e assaggiamo un prodotto alimentare dovremmo far mente locale su questo, sulla storia del prodotto, su come si è arrivati alla realizzazione di un gioiello della nostra terra e della nostra gastronomia.

Il rispetto del tempo, l’accudimento posto per la realizzazione del prodotto, il rispetto della stagionalità sono tra i punti di forza che da evidenziare per ottenere l’attribuzione di patrimonio immateriale UNESCO alla cucina italiana. Un valore culturale da salvaguardare, far conoscere e valorizzare sempre più.

La globalizzazione ha reso disponibile tutto l’anno tanti prodotti stagionali, così come tante preparazioni legate a particolari ricorrenze sono divenute permanenti e questo ha portato ad uno svilimento dell’offerta, togliendoci, appunto, il piacere dell’attesa, ma soprattutto la capacità di dare il giusto valore a ciò che andremo a gustare.

Purtroppo, come accennato, nella maggior parte dei casi il tempo rappresenta un ostacolo; non per nulla le grandi multinazionali del cibo producono piatti o preparati funzionali proprio a non perdere tempo in cucina e a tavola. Invece il tempo è, o almeno dovrebbe essere, l’ingrediente incorporeo, ma palpabile, indispensabile per conferire gusto, consistenza o morbidezza e, non ultimo, a suscitare sensazioni ed emozioni. Penso ad esempio alle lunghe, lente cotture di un brasato, di uno stracotto che spandono i loro profumi di aromi e verdure, aprendoci il cuore e lo stomaco prima ancora di gustarli.

Oggi un valore aggiunto ad un prodotto è rappresentato sicuramente dall’indicazione in etichetta o sulla carta dei ristoranti di scritte “a lenta lievitazione”, “a lenta cottura”, “a lunga maturazione”, dimostrando che sta diffondendosi una “nuova cultura” del cibo, che in realtà si rifà all’antico. Bisognerebbe però che questo concetto, o meglio questo modus operandi, si trasferisse anche all’atteggiamento a tavola. Avvilente è infatti vedere che il tempo dedicato all’apprezzamento del cibo viene dirottato alla consultazione dello smartphone, dimenticandoci che il cibo rappresenta un importante elemento di socialità.

Non ultimo, abbiamo anche rinunciato a “mettere le mani in pasta”, privandoci del piacere di vedere il nostro lavoro trasformarsi in una creazione, vedere un composto, un insieme di elementi, ad esempio, uova e farina trasformarsi tra le nostre mani, cambiare consistenza fino a diventare uno dei gioielli della nostra gastronomia. Questo è uno dei tanti segreti del nostro artigianato: rispetto per i prodotti che la natura ci offre, saggezza e creatività nel loro utilizzo.