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Sembra sul punto di allontanarsi per andare là dove deve, le sue ali sono già dispiegate, eppure qualcosa sembra trattenerlo. “Qualcosa che sta contemplando con sguardo bloccato. I suoi occhi sono fissi, la bocca è aperta.” Quella creatura sta guardando il passato, e lo fa con orrore. “Laddove leggiamo una catena di eventi, lui vede un’unica catastrofe”, mentre “rovine su rovine” si accumulano ai suoi piedi. Vorrebbe restare, l’Angelo, per “risvegliare i morti e riparare ciò che è stato distrutto”. Ma “una tempesta sta soffiando dal Paradiso” con una violenza tale che gli impedisce di chiudere le ali e lo spinge verso quel futuro a “cui volge le spalle, mentre il cumulo di rovine davanti a lui cresce verso il cielo. Questa tempesta è ciò che chiamiamo progresso”. Walter Benjamin commentava così, negli anni quaranta, l’immagine dell’Angelus Novus dipinto da Paul Klee nel 1920. Il filosofo tedesco aveva acquistato il piccolo acquerello l’anno successivo e lo aveva molto amato. Probabilmente identificandosi nella creatura raffigurata, Benjamin offre della immagine “una tra le più originali disletture della modernità” –  scrive Vincenzo Trione, nel suo splendido saggio  “Artivismo. Arte, Politica, Impegno” del 2022. Il Benjamin- coglie nel piccolo dipinto “ciò che, in realtà, non vi è rappresentato :  la carica di una valenza premonitrice”, quasi una  “chiaroveggenza “sulla violenza “e sulla crisi che stava abbattendosi sull’Europa”. Successivamente, negli anni sessanta – ricorda il Trione- il filosofo Theodor W.  Adorno partirà da questa particolare lettura “scostata” dell’immagine della creatura celeste, ad opera del Benjamin, per tentare di “decifrare il difficile e doloroso rapporto tra le opere d’arte e l’orrore della realtà”. Per Adorno, infatti, l’arte è sempre compenetrata dalla realtà, anche quando cerca di scamparne: perché da essa attinge. Sa trasfigurare l’orrore del presente, arriva a sfidare il disincanto, e sa essere tensione, dissonanza, rinuncia alla serenità. Ed è questa – ricorda Trione sempre citando Adorno – la sostanza poetica dell’arte. È invece quella dello storico la prospettiva d’analisi che Adriano Prosperi coltiva nel bellissimo saggio “Un tempo senza storia. La distruzione del passato” del 2021. Per Prosperi la lettura “laterale” dell’Angelus Novus di Klee, da parte del Benjamin, propone il tema vasto e complesso del rapporto fra passato e futuro. Nello sguardo dell’Angelo verso il passato- mentre “il vento della storia” gonfia le sue ali, Prosperi coglie la nostra necessità di conoscere le attese e le aspettative delle generazioni precedenti, delle quali noi siamo il futuro. È la conoscenza della Storia, dunque, quel “ponte fra i vivi e i morti” che ci consente di “guardare il punto da cui siamo partiti”. Ma – osserva – oggi “il ponte sembra interrotto, scomparso dalla vista, come perduto nella nebbia”, a causa dell’oblio del passato. Certo l’oblio “può essere la benefica nebbia che il tempo fa calare sui cattivi ricordi”. Tuttavia, a livello collettivo – e, dunque, sociale – la smemoratezza del passato potrebbe essere paragonata a ciò che è l’Alzheimer per l’individuo. Una malattia che, erodendo via via il ricordo, riduce la capacità di agire e di progettare l’avvenire. Eppure, proprio sulle solide fondamenta del passato, nel presente – dove il futuro si prepara – dovremmo cominciare consapevolmente a costruirlo. Ma, osserva Prosperi, viviamo in un’epoca di “presentismo”, in un tempo radicalmente trasformato dalla rivoluzione informatica che tutto semplifica e molto velocizza. “Il mutamento epocale”, spiega, sta cambiando anche la nostra percezione del rapporto fra presente e passato, allontanando “vertiginosamente” il nostro presente dal nostro passato prossimo. Tanto che percepiamo come ormai “remota” anche la storia del secolo appena trascorso: quel Novecento che viene liquidato con” frettolose lezioni finali” negli ultimi giorni prima della maturità; percepito ormai come troppo lontano,“ben più di quanto possa misurarsi col conteggio degli anni e dei decenni”. Conseguenza di ciò è che la nostra cultura tende ad attribuire sempre meno importanza alla conoscenza della Storia: la cui conoscenza “allarga l’esperienza oltre i confini del presente”. La Storia richiede ricerca, impegno ed esige i propri tempi per approfondimenti e confronti. Mentre è sufficiente cliccare sullo smartphone quello che ci occorre, “senza fatica, già pronto, senza che si sappia chi l’ha cucinato, proprio come le merci dei supermercati e i piatti pronti nelle mense collettive” (anche se – come ben sappiamo – “lo si dimentica quasi subito”). La rivoluzione informatica – esigendo   performatività e  tempismo –  valorizza  sempre di più  quei percorsi di preparazione tecnica , che favoriscono   la  rapida immissione dei giovani  nel mondo del lavoro , “rispetto all’asse formativo lungo che sbocca sull’università”.  Il criterio dell’utilità immediata sconsiglia dunque la formazione attraverso gli studi umanistici, “che non richiedono cultura generale né buone letture”. Per questo -sempre a parere di Prosperi – l’ideologia dominante assegna alla storia “uno spazio vicino allo zero nella formazione”.  Ma lo studio della storia, ispirato da “un passato non tramontato e un futuro fatto di speranze da realizzare” – prosegue il Prosperi – è necessario. Infatti, “senza la storia è l’insieme della formazione che perde significato e valore e si prepara a trasformarsi in qualcosa di profondamento diverso” dalla “crescita intellettuale di libere personalità”. Attraverso la memoria del passato si costruisce il futuro: “la memoria sociale, detta anche memoria storica, è frutto di una continua elaborazione di fatti e idee”. Mentre la mancanza di memoria delle proprie radici, di quello che abbiamo alle spalle, potrebbe spiegare la necessità di ancorarsi a un eterno presente, “l’abulia di chi abbandona ogni progetto di studio o di lavoro, come risultato della mancanza della speranza nel futuro”. Sarà dunque fondamentale non dimenticare il passato- raccomanda lo Storico –   per poter intraprendere un viaggio verso il futuro: perché soltanto “la certezza di venire da lontano può spingere a guardare davanti a sé”. È questo ciò che ci invita a fare- scrive il Prosperi – Walter Benjamin, “il grande intellettuale ebreo tedesco, negli anni più bui dell’avvento del nazismo in Germania”.  Questo impegno, secondo Prosperi, è fondamentale, “quando una brusca scossa della vita ordinaria, anche un minuscolo invisibile virus coronato, obbliga a cercare risorse nella memoria, mentre un vento di bufera gonfia le ali e spinge verso l’ignoto futuro”. Voltare lo sguardo al passato, dunque: per conoscerlo e interrogarlo prima di slanciarsi verso il domani, seguendo lo sguardo dell’Angelo.