Quando abitavo in Puglia certe cose non usavano, le conobbi, da vera boomer, quando nel 1978 arrivai a Torino. Numerosi infatti erano i colleghi e le colleghe di mia madre, dipendente delle FS (Ferrovie di Stato) che per arrotondare organizzavano serate per vendere pentole, materassi e… Tupperware. L’azienda nacque nel 1944, nel bel mezzo della guerra, per l’idea di un chimico cresciuto nelle verdi fattorie del Massachusetts, tale Earl Tupper, che aveva deciso di registrare la sua azienda di produzione di polietilene, un materiale leggero ma robusto che aveva inventato qualche anno prima, quando lavorava per l’azienda chimica DuPont. L’aveva chiamata, con un certo narcisismo: Tupperware Corporation.
Quest’anno, però, ottant’anni dopo, la sua creatura sta vivendo un momento di declino che sembra inesorabile: la società è alla frenetica ricerca di nuovi capitali, dopo che i suoi ricavi si sono ridotti, le azioni crollate e ci sono molti dubbi sul futuro del marchio. Perché questo accade? Perché la concorrenza è feroce e le vendite porta a porta che hanno animato molte serate della nostra adolescenza, non funzionano più.
La fortuna del marchio era nato per un’intuizione geniale: vendere direttamente alle famiglie, nelle case comuni, per custodire gelosamente gli avanzi e i pranzi pre-cucinati; e come farlo? Ci pensò la segretaria di Earl Tupper, Brownie Wise, che fece un formidabile lavoro di networking attraverso i Party Tupperware, il vero simbolo intramontabile del marchio dei contenitori che ha conquistato il mondo.
Che cos’è un Party Tupperware? una famiglia ospita(va) una dimostrazione di prodotti Tupperware, a cui accorrevano volonterosi amici dell’organizzante, disposti a provare l’ebbrezza di una nuova insalatiera o testare un portavivande termico. I Party Tupperware diventavano presto un gineceo, e ricordo benissimo, le agende fittissime di incontri ospitati da vicine e dirimpettaie, le valutazioni su questo o quel contenitore, i commenti delle signore della scala di fronte. In un certo senso, le dimostrazioni a domicilio di Tupperware erano simili ai keynote speech casalinghi moderni.
C’è un po’ di nostalgia in chi scrive nel pensare a quei tempi, ma i tempi cambiano, i contenitori degli avanzi pure: a cosa è dovuta la fine di Tupperware? La scarsa capacità di rinnovare il modello di business, l’aumento dei prezzi e la minore produttività della forza vendita, specie nei mercati che nei suoi decenni di storia avevano fatto la differenza (Stati Uniti, Messico, Europa). Non è stato utile vendere insalatiere e thermos nella rete dei negozi Target, abbandonando parzialmente il percorso arcaico della vendita diretta: i risultati non sono arrivati, e le nostre madri coi capelli canuti spesso preferiscono conservare i cibi in involucri più a buon mercato, perché, diciamolo pure, il prezzo non è mai stato basso…