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Giurista, attivista e scrittrice, Rosanna Oliva de Conciliis, aggiunge all’intensa attività professionale un costante impegno volontario a favore delle donne, dei bambini e dei soggetti più fragili. Insieme ai numerosi e svariati incarichi giuridico-amministrativi, infatti, svolge da sempre molteplici attività sociali in difesa delle persone deboli, dell’ambiente, per la valorizzazione dell’informatica e delle nuove tecnologie e contro le discriminazioni e il dolore inutile, tanto che il suo elevato impegno è stato riconosciuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel 2021 al Quirinale l’ha insignita dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Le erano stati precedentemente attribuiti altri riconoscimenti: per esempio tra le 100 eccellenze italiane nel 2020, Grande Ufficiale della Repubblica Italiana e il Premio Minerva per l’uguaglianza di genere nel 2010, la Targa della Società Scientifica Clinici del Dolore-S.I.C.D. nel 2000.

“Donna di Talento” (premio nel 2021), Rosa Oliva – è la semplificazione del suo nome – è balzata agli onori della cronaca quando, nel 1960, ha vinto il proprio ricorso presso la Corte costituzionale, dopo il rifiuto, in quanto donna, del Ministero dell’Interno di ammetterla al concorso per la carriera prefettizia. La sentenza della Consulta a suo favore, impensabile per quei tempi, fu una decisione storica, in quanto aprì i concorsi pubblici anche alle donne.

Nel 2010, in occasione del cinquantenario di quella sentenza, la 33/1960, ha fondato la “Rete per la Parità”, di cui è presidente onoraria. L’associazione contribuisce a promuovere iniziative per rendere effettiva la parità e attivare un ponte tra le generazioni, diffondendo nelle scuole e nelle università la consapevolezza sulla condizione delle donne in Italia e nel mondo; negli ultimi anni, si è particolarmente impegnata per ottenere la riforma sull’attribuzione del cognome della madre ai figli.

Apprezzata relatrice a convegni e corsi di formazione, è anche autrice di pubblicazioni coraggiose, tra le quali segnaliamo: La riforma del cognome in Italia. Tra diritto all’identità e promozione della parità di genere (AA.VV., ed. Blonk 2022); La famiglia del Terzo Millennio. Tre millenni di famiglie all’anagrafe (AA.VV., ed. Blonk 2019); Quando il Vesuvio aveva il pennacchio. Vi racconto la mia Napoli (Guida 2019); Cinquant’anni non sono bastati. Le carriere delle donne a partire dalla sentenza n. 33/1960 della Corte costituzionale (con Anna Maria Isastia, Scienza Express 2016); Cara Irene, ti scrivo. Un messaggio alle donne e agli uomini di domani (con Monica Marelli, Scienza Express 2016); In difesa del Parco di Veio (con Mario e Fabio Attorre, IISF Istituto Italiano per gli Studi Filosofici 2006).

Le rivolgiamo qualche domanda, poco prima di poterla ascoltare il 7 marzo a Roma, presso la Sala degli Atti parlamentari del Senato, in occasione del convegno “Il lungo percorso delle pari opportunità. Quali priorità per il cambiamento?”, organizzato dalla Rete per la parità e dal Consiglio Nazionale del Notariato per fare il punto, insieme con i rappresentanti della politica, del mondo accademico e delle professioni, sui traguardi raggiunti e su riforme e interventi ancora necessari per rendere la parità di genere effettiva nella società civile. Ma il calendario degli eventi a cui parteciperà in questo primo scorcio di marzo è più ricco del solito: venerdì 8 incontro del Consiglio Nazionale Forense su “Donne, tra diritto e giustizia” e, sempre a Roma, convegno dell’Università Magna Graecia di Catanzaro su “Riflessioni su forme di contrasto alla violenza economica”. Inoltre il 14 marzo sarà ospite della Fondazione dell’Avvocatura Parmense (“Percorsi di parità – in cammino verso l’Obiettivo 5 dell’Agenda Onu 2030”); il 15 a un evento organizzato dal XV Municipio di Roma, “La Costituzione è un viaggio”.

Quanto ha influito, lungo tutta la sua carriera, la sentenza della Corte costituzionale n. 33/1960, che consentì l’accesso delle donne alle carriere pubbliche fino ad allora ancora precluse?

Gli effetti della sentenza non hanno influito particolarmente sulla mia carriera. Avevo presentato il ricorso per eliminare un ostacolo che penalizzava tutte le donne, non solo me. Quella sentenza, e le altre che la Corte ha diramato per favorire l’uguaglianza formale e sostanziale tra i sessi, hanno, nel corso degli anni, ispirato profondamente il mio impegno personale e nelle attività associative. E ancora mi spronano a dedicarmi a una questione che non riguarda solo i diritti delle donne e si inserisce nella finalità più ampia di una società più giusta nella quale tutte le persone possano impegnarsi per contribuire al bene comune.

Quali e quanti sono ancora i diritti delle donne che vanno ancora promossi e difesi?

Le donne continuano a essere sottorappresentate ai vertici delle aziende, guadagnano meno degli uomini, devono interrompere le loro carriere, devono privilegiare la famiglia e le attività di cura rispetto alla professione, subiscono molestie e violenze. E dobbiamo sperare che si allontanino le minacce di passi indietro, davvero preoccupanti, che si manifestano non solo in Italia. Nel nostro Paese, come abbiamo specificato in precedenza, dopo una lunga stagione di grandi progressi, il trend si è invertito. È ben noto quello che occorrerebbe fare, ma in Italia non è scattata, come invece è avvenuto da molti anni nella maggior parte dei paesi europei, la decisione di affrontare in maniera concreta la questione dello scarso numero di donne occupate, soprattutto al Sud, e della difficoltà di conciliare lavoro e cure familiari da parte delle donne, per la scarsa condivisione dei compiti di cura e la mancanza di servizi. Si dovrebbe intervenire con piani incisivi, a vantaggio non solo delle donne, ma del Paese.

A che punto siamo oggi? Quanto è ancora lunga la strada per colmare il divario di genere?

L’obiettivo della parità è ancora lontano per tutti i Paesi, compresi quelli più avanzati. L’Italia è fanalino di coda dell’Unione Europea: i dati sull’occupazione femminile sono semplicemente inaccettabili. Secondo le statistiche più recenti, siamo di 14 punti percentuali al di sotto della media europea con un gap salariale impressionante: in base agli ultimi dati Eurostat la differenza tra la retribuzione media percepita è del 43 per cento. E non è finita. Con la pandemia, molte donne hanno perso il lavoro e non sono più rientrate. Costrette a prendersi cura dei familiari e di tutte le incombenze che quel periodo tremendo ha comportato, sono state le più penalizzate; non dimentichiamo che nel nostro Paese l’impegno della gestione della famiglia è soprattutto sulle spalle delle donne. Di questo passo, secondo i dati pubblicati nel 2023 dal World Economic Forum, ci vorranno ancora 131 anni prima che si possa parlare di autentica parità di genere a livello globale. 

L’impegno sulla parità di diritti, dunque spetterà ancora a molte altre generazioni.

Dal 2016 la Rete per la Parità aderisce all’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASviS.  Seguiamo in particolare la parità di genere, uno dei 17 obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile. Nel gruppo di lavoro dedicato al Goal 5 produciamo periodicamente molti documenti. Da segnalare il Position paper, presentato l’anno scorso durante il Festival dello Sviluppo Sostenibile. Stiamo lavorando sulla parte del Rapporto di primavera ASviS riguardante la condizione delle donne. Anche questo documento sarà diffuso il 22 maggio durante il Festival che si svolgerà dal 7 al 23 maggio.

In Cara Irene ti scrivo, la lettera a mia nipote che ho scritto nel 2010, auguravo a lei e alle sue coetanee, le giovani donne di domani, di raggiungere nel 2060 (anno del centenario della sentenza), i loro obiettivi negli affetti e nel lavoro. In libertà, senza condizionamenti e senza dover lottare contro gli stereotipi che oggi ancora contrastano il cammino delle donne. Mi auguro che le donne del futuro non dovessero compiere scelte difficili e dolorose come quelle che devono affrontare ancora oggi: la scelta tra famiglia e lavoro, tra lavoro e figli e tra carriera e figli.

Nel 2006 ha fondato, e ne cura tuttora il blog e la pagina Facebook, l’Associazione “Aspettare stanca”, rivolta all’affermazione della presenza delle donne in politica e nei luoghi decisionali. Perché siamo stanche?

Il nome dell’Associazione allude alla lunga attesa per raggiungere la parità è volutamente provocatorio; infatti, dopo averlo riportato aggiungiamo “ma le donne non sono stanche”.

Poche settimane fa, con la presidente di “Femminile Maschile Neutro” Maria Tiziana Lemme, ha pubblicato l’articolo La Corte costituzionale non è più composta da ‘signori giudici’, a favore di un uso della lingua attento alla prospettiva di genere. C’è ancora molto da fare per il superamento della convenzione del maschile inclusivo?

Da tempo, come Rete per la Parità, abbiamo individuato nell’uso di un linguaggio che nasconde le donne una pratica da eliminare perché consolida una discriminazione contro le donne, costrette a dimenticare la loro appartenenza al sesso femminile per essere accettate in contesti tradizionalmente maschili ora non più esclusi alle donne. Già nel 2013 Aspettare Stanca dichiarava di ritenere importante rendere obbligatorio, negli atti ufficiali dei lavori parlamentari, l’uso di nome e cognome delle deputate e dei deputati, delle senatrici e dei senatori, per individuarli con esattezza e poter ricostruire compiutamente i lavori parlamentari.

Per eliminare resistenze segno di un’arretrata mentalità è comunque sufficiente chiedere il rispetto delle regole grammaticali. Da oltre dieci anni l’Accademia della Crusca ribadisce l’opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali, la ministra, la presidente, l’assessora, la senatrice, la deputata ecc. e la Treccani ha inserito nel dizionario i titoli delle professioni e delle cariche declinati al femminile per evitare l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne. L’utilizzo del linguaggio di genere risulta essere un alleato irrinunciabile nella battaglia per l’eliminazione della violenza contro le donne e sarebbe un vero peccato se il Senato della Repubblica rimanesse arretrato in posizioni del tutto anacronistiche. Una delle tre linee guida della Rete per la Parità è: “Mai più donne invisibili”. Oltre che per il linguaggio siamo impegnate anche per ottenere il doppio cognome per legge.