Nel 46 a.c. il Calendario Giuliano stabilì che il primo gennaio fosse la data di inizio di un nuovo anno solare. A questo calendario, con il quale per la prima volta è stato scandito l’anno civile in base al ciclo delle stagioni, è seguito quello Gregoriano, con il quale Papa Innocenzio XII uniformò tale regola per tutte le città d’Europa. Prima del 46 a.C., cioè quando era il Calendario Romano a scandire il trascorrere dei 304 che componevano l’anno, il Capodanno coincideva col primo giorno di marzo. L’usanza di celebrare l’inizio di un anno nuovo con una festa deriva dai riti compiuti in onore del dio Giano: una delle più antiche divinità romane, eponimo del mese di gennaio. Raffigurato come bifronte, Giano era la divinità protettrice degli inizi, dei “riti di passaggio” e dei mutamenti. Egli, infatti, guarda contemporaneamente in due diverse direzioni: passato e futuro. Un’eccezione alla regola di celebrare il Capodanno il primo gennaio, in Italia, si è avuta durante la c.d. “era fascista”: triste parentesi temporale, dal 1927 al 1945, durante la quale il Capodanno venne fatto coincidere con l’anniversario della marcia su Roma. Dopo la caduta del regime, tornò ad essere celebrato durante la notte di San Silvestro: a cavallo tra il 31 dicembre e il primo gennaio. San Silvestro fu il 33esimo Papa, eletto subito dopo l’editto di Milano, con il quale l’imperatore Costantino aveva concesso la libertà di culto per i cristiani e la restituzione dei beni che erano stati loro confiscati. Durante il papato di San Silvestro, dunque, si assiste ad un nuovo grande inizio per i cristiani: la fine dell’era della Roma pagana e delle persecuzioni e la conquista della libertà di culto. Il tradizionale cenone di Capodanno, però, non ha nulla a che fare con la celebrazione del Santo. È piuttosto un “rito” di veglia in attesa dell’anno nuovo. Anche questa usanza ci deriva dagli antichi romani. I quali, il primo dell’anno, ospitavano a pranzo parenti e amici e, al termine del pasto, donavano loro datteri, miele, fichi e ramoscelli d’alloro. Per i greci e per i romani i datteri simboleggiavano la vittoria: quegli antichi popoli, infatti, utilizzavano le foglie del frutto come ornamento durante i festeggiamenti dei loro successi in battaglia. Simbolo di abbondanza e prosperità era invece considerato il miele, apprezzato anche per le proprietà afrodisiache. Alimento sempre presente nelle cucine dei romani, ma da loro utilizzato anche come prodotto di bellezza e come farmaco. Gli alberi di fico e quello di alloro, come è noto, erano venerati dai Romani. Il primo era considerato il simbolo di vita e fecondità: infatti, secondo la leggenda, Romolo e Remo sarebbero stati ritrovati dalla lupa proprio sotto un fico. L’alloro, invece, simboleggiava la vittoria, la saggezza e la pace. Anche oggi, tenere una pianta o delle foglie di alloro nella propria casa, secondo alcune credenze popolari, favorirebbe successo e benessere. I romani conservavano, consumavano e offrivano in dono anche lenticchie, uva e melograni: esattamente come, per tradizione, facciamo noi ancora oggi durante la notte di Capodanno. Questi alimenti continuano ad evocare ricchezza e buona sorte, perciò vengono consumati ancora oggi durante la notte dell’ultimo dell’anno. Ogni lenticchia, ogni acino d’uva e ogni chicco di melograno, infatti, corrisponderebbero ad una moneta. Il cotechino, infine, è simbolo di benessere e abbondanza in Italia, mentre in paesi come Austria, Spagna, Ungheria e Portogallo, rappresenta il progresso. Forse perché il maiale avanza sempre, va incontro al futuro camminando in avanti e mai all’indietro. In Cina e Giappone, a Capodanno, si mangiano i Noodles: con la loro forma sottile e allungata, sono simbolo di longevità e di forza. Nei Paesi Bassi, invece, a Capodanno si consumano in abbondanza palline di pasta fritta: le “Oliebollen” che – secondo la tradizione – sarebbero in grado di proteggere dagli spiriti del male. Per lo stesso motivo per cui gli Olandesi addentano Oliebollen, noi spariamo i botti e in Danimarca si lanciano piatti di porcellana davanti alle case di parenti e amici: il forte rumore dovrebbe servire ad allontanare le forze del male, ricacciandole nel loro mondo, e impedendo loro di fare ingresso nel nostro anno nuovo. Anche gli Irlandesi e i Greci scacciano gli spiriti con il trambusto, ma per far chiasso utilizzano pietanze: gli irlandesi lanciano e sbattono filoni di pane contro le mura di casa; mentre i greci adornano e colpiscono le porte delle abitazioni con trecce di cipolle, la cui pianta è per loro simbolo di rinascita. Noi, di solito, sulla porta di casa appendiamo il vischio: seguendo una tradizione che abbiamo mutuato dai Paesi Scandinavi. I sacerdoti dei popoli Celtici, infatti, lo consideravano una pianta magica, in grado di guarire e di donare pace. Ecco, quindi, che sotto le foglie del vischio si annunciavano le tregue in battaglia, o si celebravano i matrimoni. Da lì, poi, questo arbusto è divenuto simbolo di amore e passione e un portafortuna per gli innamorati, che si baciano sotto le sue foglie. In Russia, invece, le porte non vengono adornate ma spalancate, a mezzanotte, per “lasciare entrare” l’anno nuovo. Non si fanno “buoni propositi”, ma si stila una “lista dei desideri”, poi si dà fuoco alla carta e si bevono le ceneri in una coppa di Champagne. Se uno dei nostri “buoni propositi” o di desideri per l’anno nuovo è quello di viaggiare di più, possiamo sempre provare a imitare il rituale dei popoli colombiani. In Colombia, infatti, a mezzanotte le persone sfilano per strada portando con sé valige vuote nella speranza di andare incontro ad un anno ricco di viaggi. In Cina invece – com’è noto – si lanciano lanterne verso il cielo. Ogni luce corrisponde a un desiderio, dal significato diverso in base al colore. Le lanterne rosse, ad esempio, simboleggiano la “buona sorte”. In Cina il colore rosso è molto amato proprio perché si ritiene che abbia un grande potere benaugurale: infatti, anche durante le celebrazioni dei matrimoni ci si veste di rosso per augurare una vita felice agli sposi. Forse è proprio dai cinesi che abbiamo “copiato” l’usanza di indossare biancheria intima di colore rosso. Ma pochi sanno che la biancheria, e gli altri capi rossi che indossiamo il primo dell’anno, andrebbero gettati nell’immondizia il due gennaio: soltanto così, secondo la tradizione, si potrebbero avverare i nostri desideri. In altri Paesi, invece, il colore della “buona sorte” non è il rosso. A Rio, ad esempio, porta fortuna vestirsi di giallo: colore del sole, della luce e dell’oro; mentre in Brasile ci veste di bianco e si va sulla spiaggia, di fronte all’oceano, a brindare all’anno che verrà.