La fiction La lunga notte – Caduta del Duce, andata in onda sulla Rai per la regia di Giacomo Campiotti è nel suo genere un buon lavoro. Bravi e ben guidati gli attori, ottime la scenografia e la fotografia, ben scelti i costumi, ma alla fine ci si domanda quale sia stata l’utilità di trattare il tema ricorrendo a un genere che, per tradizione, mescola, per dirla alla Manzoni, vero e verosimile, specie se il presunto verosimile, in realtà frutto di invenzione, rischia d’essere verità di fatto agli occhi di chi abbia una conoscenza alquanto vaga di quanto si compì il 25 luglio del 1943 e nelle settimane immediatamente precedenti.
Ci sono nodi storici importanti per un popolo e “scioglierli” è per lo meno auspicabile per il modo di vivere il passato specialmente recente.
È chiaro che una fiction possa derogare dalla realtà storica, ma certe integrazioni alla realtà storica vanno evitate quando il rischio sia di creare delle derive che con i fatti stentano a collimare, fino a confondere lo spettatore, spinto a seguire il programma per sapere qualcosa di più circa un episodio su cui i libri di storia delle scuole dcono assai poco. Fatto imbarazzante, tanto più che oggi esistono gli strumenti per evitare certi equivoci che risultano spiacevoli quando si racconta la “caduta di Mussolini”, un evento che prelude ad altri importanti cambiamenti intervenuti nel corso della seconda guerra mondiale in Italia.
Così lasciano perplessi alcune scelte fatte dagli autori della fiction.
Il punto dunque non è che certi fatti inventati non siano credibili. Lo sono. Ma il fatto che non siano veri e provati complica non poco l’attendibilità di una ricostruzione che comunque è, suo malgrado, storica agli occhi di un folto pubblico, propenso a ritenere che davvero Dino Grandi, Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni e fascista di sicura e provata fede, potesse essere amico di tale Furio Nicolai (personaggio d’invenzione!) finito nel mirino dell’OVRA; che veramente Grandi si rifiutasse d’andare a Bologna a fare propaganda per il regime, spiattellando al “duce” le sue ragioni; che Claretta Petacci sia stata osservatrice dei giochi politici più acuta di Mussolini.
A me pare chiaro che sia lecito ritenere che Mussolini non sia stato un grande statista e so che certi atteggiamenti “duri”, oggi impensabili in un politico, tanto da destare qualche perplessità nello spettatore, gli furono propri a detta di vari testimoni. Ma che la sua amante osasse esprimere giudizi politici in contrasto con quelli del capo del Governo in un’Italia in cui le donne erano ancora considerate “inadatte” alla politica, appare un’esagerazione, anche concedendo che le “confidenze di letto” fossero da secoli in uso nelle corti d’Europa e nelle alcove dei cabinet dei primi ministri. Ma Claretta non era una spia e gli storici (con l’eccezione di qualche scoop giornalistico che la vuole ora spia degli inglesi, ora dei tedeschi) sono concordi nel riconoscerle una personalità debole e remissiva, pur riconoscendo che la famiglia Petacci cercasse di approfittare del “debole” che il “duce” aveva per lei.
Ugualmente è lecito ritenere che Grandi fosse un uomo coraggioso e determinato ma la realtà storica è che fu uno capace di giostrarsi camminando su un terreno minato, dote che la fiction a tratti non manca di mettere in luce, sicuramente però esagerando nel fargli assumere atteggiamenti apertamente, e vorrei dire scopertamente, polemici nei confronti del “duce”.
È vero che fece leggere a Mussolini il suo Odg., ma usò molto tatto nel confidarsi con gli altri gerarchi, badando a che non si intuissero le sue reali intenzioni. Mussolini sapeva benissimo che il Gran Consiglio non aveva alcuna funzione deliberativa. Era infatti un organo consultivo. La votazione serviva solo a ufficializzare i pareri dei singoli componenti. Quello che poi sorprendentemente si tace è il ruolo avuto da Farinacci, il quale era per la deposizione sia di Mussolini che del re. Posizione di cui poté avvalersi Grandi come sponda alle proprie ragioni. Formalmente il documento votato non era altro se non una richiesta di chiarimento circa la linea politica da seguire e che richiedeva un colloquio chiarificatore tra Vittorio Emanuele III e il Capo del Governo. Colloquio al quale Mussolini si avviò convinto di ricevere dal re, che lo avrebbe fatto arrestare, il consenso a condannare gli “oppositori” del regime.
Poco verosimile è infine la figura di Italo Nicolai, figlio poco più che ventenne del mai esistito compagno d’armi di Grandi ucciso, come abbiamo detto, dall’ OVRA. Il giovane matura nel giro di pochi giorni una coscienza delle cose che stanno accadendo che tanti italiani, di lui più esperti delle cose del mondo e della vita, maturarono solo dopo l’8 settembre, spinti da una rinascita, sia pure clandestina, dei vecchi partiti politici. Qui si immagina che dei giovani, mossi da ragioni esclusivamente morali e da un vago desiderio di giustizia, compiano un’azione “rivoluzionaria”, ignorando che la rivoluzione è una scelta politica, da non confondere con un atto di protesta politicamente privo di senso.
È un errore direi “spettacolare” che compromette l’attendibilità della fiction, che degenera su questo punto a soap opera, in cui i sentimenti e le ragioni dell’amore diventano ragioni del mondo.
Sicuramente fuorviante è il riferire a Grandi una linea politica di ispirazione quasi liberale e, in quanto tale, legalitaria, dove la sua aspirazione, comune ad altri gerarchi “fedeli” a Mussolini, fu probabilmente quella di tentare un’ascesa nel momento in cui l’astro del “duce” appariva in declino. Farne un eroe o giù di lì è un errore storico e di questi tempi anche politico.
L’errore politico sta in particolare nel non tener conto di possibili critiche, in qualche modo fondate, che possono oggi provenire da ambienti filofascisti, tanto appare di di maniera l’ antifascismo che sembra animare la fiction e che infine contrappone il bene al male, che non è propriamente lo stesso che condurre un’analisi politica dei fatti. Sono trascorsi ormai ottant’anni dalla “caduta del Duce” e, se la delineazione del personaggio di Maria José, al di là di qualche sbafatura, è tra le meglio riuscite, non si capisce perché siano poi così sfocati personaggi come Bottai e Federzoni che ebbero un ruolo importante nella stesura definitiva dell’Odg. Grandi, per non parlare di Galeazzo Ciano ridotto quasi a una macchietta.
A tutto questo segue un finale alla “…e vissero tutti felici e contenti”, quando nella realtà dei fatti si preparavano altri drammi per il Paese.