Mi sono accostata al tango argentino solo da pochi anni, ma più mi addentro nella bellezza dei suoi passi e della sua storia, più mi appassiono e scopro l’intensità della sua genesi. Colpevole di tutto questo pathos è il mio maestro, Riccardo Giustetto, che con pazienza e grande competenza, è riuscito a farmi fare cose mai credute possibili.

Quando mi ha raccontato di questo progetto, sono stata subito incuriosita, e mi sono seduta volentieri sulle comode poltrone color vermiglio del Teatro Toselli di Cuneo. La platea era gremita, il regista Pinuccio Bellone simpatico e scherzoso, spalleggiato da una professionale ed elegante Susi Lillo, ideatrice con Vito Mario Burgio – autore dei testi- dello spettacolo.

Le luci si sono abbassate, il sipario si è aperto e siamo stati accolti da una brava e spigliata Carmen Parra, nel ruolo di nonna di Sofia, che con nostalgia e tenerezza introduce la nipote alla storia e alla bellezza del tango. Così la teenager disinteressata viene piano piano affabulata dal racconto e alla fine, quando la conquista è fatta, si trasforma in una splendida donna, nonché talentuosa ballerina.

La narrazione della nascita di questo ballo, che nel 2009 è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’Umanità, per la sua capacità di accogliere, includere ed integrare popoli, culture e tradizioni, rispetta la filologia della sua storia, senza però diventare didascalica, rischio sempre in agguato quando si devono attraversare quasi due secoli di evoluzione. Lo strumento usato, i quadri che si compongono mano mano sul palco, con i bravi e inizialmente un po’ tesi attori e ballerini, raccontano impeccabilmente e con particolari storici precisi e fedeli, storie di immigrazioni, fusioni di popoli e delle loro culture, tutti elementi che hanno formato e plasmato il tango argentino.

Così i ritmi autoctoni delle pampas, territori incontaminati fatti di natura e solitudine per la vastità delle loro estensioni, si fondono con i tamburi africani del candombe degli schiavi portati nel Continente Sud americano e con l’abanera europea, spagnola nella fattispecie. Ne nasce un ritmo ancora forse un po’ grezzo, se paragonato al tango dei decenni successivi, ma di certo genuino e rappresentativo delle sue radici: la milonga. Ad interpretarla due maestri molto conosciuti: Nicola De Concilio e Clauida Villaroel.

La storia si è dipanata poi tra struggenti ricordi di immigrazione italiana, con il bellissimo brano interpretato da Bruno Lauzi: “Ma se ghe pensu”, a fare da sottofondo agli attori, in cui un anziano genovese emigrato in Argentina, sogna di tornare alla sua Zena “a pösâ e òsse dôve ò mæ madonâ”, alla prosa ottimamente recitata e cantata da una bravissima Laura Giuliano, toccando mano mano l’evoluzione del tango primitivo, il “Canyengue”, ballato dai maestri Riccardo Giustetto ed Eugenia Ricci –Riccardo ha spiegato a Sofia il perché della postura dei due ballerini, che lei ha definito strana e scomposta, dicendole che quello era il compromesso pudico per poter ballare con una donna senza rischiare di essere accoltellati dal padre o dal fratello.

Dopo il tango si sposta nei bordelli, si balla tra uomini, piano piano evolve diventando prima melodia caratteristica con il suo bandoneon e i suoi violini – qui hanno ballato i maestri Susi Lillo e Piermario Mameli-per diventare prima del secondo conflitto mondiale musica cantata, poi evolve e nascono le grandi orchestre, i brani celebri e la fama mondiale.

Toccante e carico di significato, ora più che mai, con i conflitti nell’est Europa e in Medio Oriente, il ricordo della durissima dittatura argentina di Videla, che dal 1976 al 1983 ha oppresso l’Argentina e provocato arresti, torture, uccisioni di oppositori politici e di tantissimi giovani. Si parla di circa 30.000″desaparecidos” sequestrati, torturati e fatti sparire in centri di detenzione clandestini, buttati dagli aerei nel rio della Plata e mai più ritrovati. Nel quadro a lei dedicata, sono comparsi sul palco giovani a protestare per la propria libertà, rincorsi e battuti dai servi del regime: ecco che silenziose e quasi spaurite arrivano le mamme di molti di quei ragazzi, che con i loro fazzoletti bianchi e gli occhi ormai asciutti per le troppe lacrime versate, con mano ferma e coraggio da vendere, si oppongono al regime e rappresentano il movimento de “Le Madri di Plaza de Mayo”

Queste donne forti del dolore di chi ha perso il bene più grande si riunivano regolarmente in Plaza de Mayo a Buenos Aires per chiedere verità e giustizia sui loro figli scomparsi – lo fanno tuttora ogni giovedì dell’anno-  hanno svolto un ruolo fondamentale nel mantenere viva la memoria e nella lotta per la democratizzazione dell’Argentina: è stato bello vederle ricordare su quel palco. Momento di grande commozione apprezzato dal pubblico, che ha di certo graffiato le coscienze di tutti noi, facendoci riflettere sugli orrori tuttora in atto in molte zone del Pianeta.

Qual è l’arricchimento che ho portato via dopo questo spettacolo?

L’importanza di quello che ci hanno lasciato i nostri genitori, i nostri nonni; le dovute considerazioni sulla nostra storia personale e collettiva, su che cosa lasceremo al mondo, in termini di “testamento” spirituale ed esperienziale, che si esprime anche attraverso la cultura, in questo caso quella del Tango.  L’idea di Vito Mario Burgio e Susi Lillo fa proprio questo, propone un viaggio che varca la soglia dei legami familiari, del “passare il testimone” della nostra memoria, del cedere ad altri un incarico, un compito.

In questo spettacolo il tango diventa strumento per far riemergere e condividere emozioni profonde e sentimenti, con l’intensità che solo questa danza esprime, poiché nasce da tradizioni, dolore e lontananza.

Un grazie speciale a tutti coloro che hanno reso possibile lo spettacolo: l’Associazione Tango Indipendente e la compagnia Corte dei Folli di Fossano, il regista Pinuccio Bellone, le Autorità Comunali, nella persona dell’Assessore Cristina Clerico, che hanno dimostrato sensibilità a temi eterni e trasversali. Insomma, considerando che non è mai facile mettere in scena un’opera teatrale, soprattutto quando non tutti i protagonisti sono “professionisti” e si rischia di cadere nella rappresentazione parrocchiale cui partecipano amici e parenti, direi che la prova è riuscita splendidamente e i miei complimenti vanno a tutti, ma proprio tutti. Consiglio ai lettori di prenotare un posto per le prossime repliche che si terranno il 28 giugno a Racconigi e il 18 ottobre a Bra. La prenotazione è obbligatoria al 371-5474326 e l’ingresso è gratuito.