Sulle acque del lago di Avigliana, tra le rive verdi e il profilo imponente delle montagne, può capitare di scorgere un’imbarcazione lunga e sottile, adornata da una testa di drago. A bordo, donne in maglie fucsia pagaiamo con forza, seguendo il ritmo cadenzato di un tamburo. Non è una scena sospesa tra mito e leggenda, ma la realtà vibrante delle Dragonesse, donne che hanno affrontato il carcinoma mammario e che, attraverso lo sport, riscoprono energia, solidarietà e speranza. L’evoluzione della scienza ha reso la guarigione sempre più frequente, ma la convalescenza porta con sé conseguenze fisiche e psicologiche. Il linfoedema, un gonfiore che limita i movimenti più semplici, ne è un esempio. In passato, qualsiasi sforzo che coinvolgesse la parte superiore del corpo era sconsigliato, un prezzo da pagare per la sopravvivenza. Poi, negli anni Novanta, il fisiatra canadese Don McKenzie ha segnato una svolta: studiando la biomeccanica della spalla, ha dimostrato che il movimento ritmico e vigoroso della pagaiata può stimolare un linfodrenaggio naturale, riducendo significativamente il gonfiore. Nel 1996, ventiquattro donne operate al seno hanno partecipato al primo esperimento, solcando le acque a bordo di un Dragon Boat, imbarcazione di origine cinese lunga tredici metri. Sei mesi dopo, hanno gareggiato all’International Boat Festival di Vancouver, dimostrando che il gesto atletico può essere non solo riabilitazione, ma rinascita. Da allora, migliaia di donne in tutto il mondo hanno seguito il loro esempio. In Italia, le squadre di “donne in rosa” sono ormai una quarantina. Sui Dragon Boat, venti atlete remano in perfetta sincronia, guidate dal ritmo di un tamburo e dall’esperienza di un timoniere. Ogni gara non è solo competizione, ma una dichiarazione di forza e resistenza. Molte di loro non avevano mai praticato sport prima della malattia, eppure hanno trovato nel gruppo una dimensione nuova, una comunità che va oltre l’allenamento: confidenza, amicizia, sorellanza. Oltre alla pratica sportiva, le Dragonesse si impegnano nella diffusione della cultura della prevenzione. Medici, psicologi, fisioterapisti e volontari affiancano il loro percorso, contribuendo a creare consapevolezza. Attraverso i social, raccontano la loro storia con immagini di fatica e di entusiasmo, dimostrando che guarire non è solo una speranza, ma una concreta possibilità. Una testimonianza di resistenza che si fa simbolo di vita.
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