“Il tessitore del positivo: viaggio nella visione, nell’esperienza e nelle scelte di Sergio Giovanni Cerutti”, di Silvia Tonda

Conosco sergio cerutti da molti anni, e mi ha sempre intrigato il suo modo di essere e di affrontare la vita. Per questo ho deciso di incontrarlo e di raccontarsi.

Silvia: Sergio, hai attraversato decenni di lavoro in contesti molto diversi. Quanto c’è di continuità nel tuo percorso?

SGC: Moltissima. Ho fatto tante cose, è vero: gestione aziendale in ambito industriale, concessionario delle prime TV commerciali, produzioni televisive, di concerti e talent, commercio e ristorazione nel settore turistico, la parte poetica dei primi siti web, organizzazione eventi, collaborazioni con associazioni e realtà territoriali. Ma non l’ho mai vissuto come un cambiamento di direzione. Per me è stato sempre un unico viaggio.

Ogni esperienza mi ha dato strumenti nuovi, ma la base non è mai cambiata: ascoltare, osservare, capire cosa manca, e poi costruire qualcosa che funzioni davvero.

Silvia: Oggi sei Presidente di TPM Srl. Cosa vuoi portare dentro questa società?

SGC: Una parola: personalizzazione. Nel welfare aziendale e nei servizi alle imprese ho visto troppa burocrazia, troppi cataloghi standardizzati, troppi prodotti uguali per tutti. TPM nasce come alternativa.

Ci occupiamo di incentivi, convenzioni, esperienze benessere, servizi per il personale. Ma non proponiamo mai un foglio prestampato.

Parliamo con l’azienda, capiamo chi sono i loro dipendenti, che tipo di cultura interna hanno. E poi creiamo soluzioni dedicate.

E la cosa sorprendente è che questo approccio piace molto, perché oggi le persone vogliono sentirsi viste, non numeri.

Silvia: La tua reputazione è quella di un “costruttore di relazioni”. È un’espressione che la rappresenta?

SGC: Direi di sì, almeno in parte. Ma certamente non nel senso formale del termine. Non basta scambiarsi biglietti da visita per creare una relazione vera.

Io credo nei rapporti costruiti sul lavoro fatto bene, sulla presenza, sulla disponibilità.

Molti collaboratori sono diventati partner, alcuni partner sono diventati amici … altri no.

Nel tempo impari che non esiste progetto che stia in piedi senza persone che si possano fidare l’una dell’altra.

Silvia: Come nasce il tuo impegno nell’ambito televisivo e media?

SGC: Per necessità e per passione. Ho sempre percepito che la comunicazione fosse centrale. Un evento senza comunicazione resta confinato. Un progetto senza racconto, senza cura estetica ed edonistica perde metà della sua forza.

Con Seven Live TV [e l’indispensabile contributo di Rete 7] abbiamo voluto creare un marchio che non fosse solo una sigla, ma un modo di lavorare: dirette, format, interviste, documentazione professionale degli eventi.

In un’epoca in cui tutto è digitale, sembrerebbe facile, ma non lo è. Per fare comunicazione vera serve sensibilità, serve esperienza, e serve rispetto del pubblico.

Silvia: Tu lavori spesso nel mondo degli eventi. Cosa ti attira di questo settore?

SGC: La vibrazione dell’imprevisto. Gli eventi sono vivi. Ogni volta c’è una sfida diversa: un contesto nuovo, persone, esigenze e situazioni diverse da mettere in relazione, un obiettivo specifico da raggiungere.

Mi piace quando un’azienda mi chiama e dice: “Vogliamo fare qualcosa che resti”.

Lì entra in gioco tutto: logistica, accoglienza, comunicazione, riprese, ospiti, intrattenimento, coordinamento.

Ed è lì che si vede la differenza tra una giornata qualsiasi e un’esperienza che le persone ricorderanno.

Silvia: È un tratto che ti distingue: la tua attenzione per il territorio, per il tessuto sociale. Da cosa nasce?

SGC: Dalla convinzione che i territori siano ricchi.

Ricchi di potenziale, di storie, di talenti, di luoghi da valorizzare.

Molti parlano superficialmente dei territori, io invece ci vedo risorse che aspettano solo di essere connesse.

Ed è quello che mi fa piacere fare: mettere insieme un’azienda che cerca un luogo particolare con una struttura ricettiva di qualità; un’associazione sportiva con una realtà media; un’iniziativa culturale con una rete professionale.

Quando questi mondi si incontrano, nasce qualcosa di nuovo.

Silvia: Il tuo modo di lavorare è spesso definito “concreto”. Ti piace questa definizione?

SGC: Molto.

Io non sono un teorico. Sono uno che lavora.

Non amo i discorsi complicati, preferisco le soluzioni pratiche.

Se un cliente ha un problema, io non gli porto tre slide, gli porto un’idea da realizzare entro due giorni.

Questo crea fiducia. E la fiducia, nel nostro mestiere, è tutto.

Silvia: Dopo tanti anni di attività in diversi settori, cosa trovi ancora stimolante?

SGC: Una parte delle persone.

Incontrare qualcuno che ha un progetto e non sa da dove partire.

Vedere un’azienda che vuole crescere ma non ha gli strumenti.

Collaborare con un’ interessante esperienza di crescita musicale, artistica, imprenditoriale, sportiva ecc. … troppo poco conosciute.

Aiutare un territorio a raccontarsi meglio.

Io credo che ogni giorno ci sia un’opportunità di migliorare qualcosa, piccola o grande che sia.

Ed è questo che mi dà energia: la possibilità di contribuire con competenza, con esperienza, con presenza.

Silvia: Se dovessi riassumerti in una sola frase?

SGC: non credo sia fattibile se non con qualche frase a effetto che dice tutto e niente

In un mondo dove tutto corre veloce, Sergio Giovanni Cerutti continua a credere, senza perdere la necessaria prontezza, nella forza del contatto umano, nella qualità del lavoro svolto con cura, nella capacità di un progetto ben costruito di generare valore reale.

Che si tratti di welfare aziendale, di eventi, di comunicazione o di relazioni istituzionali, la sua visione resta una: unire le persone, creare connessioni, trasformare le idee in risultati duraturi.

Un professionista che non cerca riflettori, ma risultati mantenendo integra distanza dalle scontate “certezze” del main stream.

E forse è proprio questo, oggi, il suo tratto più prezioso.