“Chagall, testimone del suo tempo” di Anna Maria Borello.
A quarant’anni dalla morte di Marc Chagall, Ferrara gli rende omaggio con una mostra di straordinaria bellezza, ospitata fino all’8 febbraio 2026 nella splendida cornice di Palazzo dei Diamanti. L’esposizione, promossa dalla Fondazione Ferrara Arte e da Arthemisia, è curata da Paul Scheneiter e Francesca Villanti. Il percorso espositivo, articolato in oltre duecento opere distribuite nelle eleganti sale del Palazzo, offre un’esperienza immersiva: giochi di specchi, suoni evocativi ed effetti visivi accompagnano il visitatore dentro quella leggerezza sospesa che è la cifra più autentica dell’arte di Chagall. Si compie così un viaggio nel tempo, parallelo alla storia del Novecento, che coincide con la vita quasi centenaria del Maestro. Nato nel 1887 a Vitebsk, in Bielorussia, e morto nel 1985 a Saint-Paul-de-Vence, in Francia, Chagall ricevette una formazione tradizionale, nutrita dagli insegnamenti della scuola ebraica e dalla cultura laica russa. Studiò arte a San Pietroburgo dove, nonostante la povertà e le restrizioni imposte agli ebrei, fu allievo di grandi maestri. Nel 1911 si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con le avanguardie e con artisti come Modigliani, Soutine e il poeta Apollinaire. Viaggiò in Spagna, Italia e Polonia per conoscere i maestri del passato, espose a Berlino e approfondì le radici della cultura ebraica in Palestina. Ma fu la Francia a offrirgli la libertà necessaria per compiersi artisticamente: negli anni Trenta la cittadinanza francese lo protesse dal nazismo. Lo sconforto per le persecuzioni antisemite lo spinse nel 1931 a dipingere la celebre Crocifissione bianca — esposta a Roma in occasione del Giubileo 2025 — un grido silenzioso di dolore e speranza. Nel 1937, a Monaco, le sue opere furono confiscate e bollate come “degenerate” dal regime nazista. Con l’invasione tedesca della Russia, Chagall trovò rifugio negli Stati Uniti, dove visse un esilio che definì “alienante”. Artista del Novecento per eccellenza, Chagall attraversò due guerre mondiali e la persecuzione del suo popolo, esperienze che filtrò attraverso la poesia del colore e dell’immaginazione. La sua vita fu segnata da gioie immense — come l’amore per Bella, sua musa e compagna — e da dolori profondi, come la sua perdita, che lo condusse a una lunga crisi creativa. Pur restando sempre grato a Parigi, che definiva “il riflesso del mio cuore”, non dimenticò mai Vitebsk: la città natale, la vita contadina, le feste popolari e l’infanzia trascorsa nella “zona di residenza” riservata agli ebrei. Nelle sue tele, quei ricordi si intrecciano alla nuova vita parigina, dove la Tour Eiffel diventa simbolo di sogno e libertà. La vita e l’arte di Chagall sono inseparabili. Come suggerisce il sottotitolo della mostra, egli è davvero un “testimone del suo tempo”, ma la sua testimonianza non è mai cronachistica né ideologica: si esprime attraverso la poesia delle immagini, i colori irreali, gli animali fantastici e i simbolismi biblici che popolano il suo mondo interiore. Per Chagall, il tempo non è cronologico ma emotivo: un tempo circolare che intreccia memoria e sogno, passato e presente, realtà e sentimento. Le sue opere racchiudono tutto il suo universo — ricordi, amori, dolori, speranze — e non a caso la mostra si apre con una veduta della natia Vitebsk, trasfigurata da colori innaturali e da una costruzione cubista. Più che un paesaggio, un atto di nostalgia e gratitudine. L’arte di Chagall sfugge alle etichette: non appartiene a nessuna corrente. Il suo linguaggio pittorico supera il figurativo e la materia stessa per farsi evocazione, sogno, poesia. È per questo che Marc Chagall resta, in ogni senso, il poeta della pittura.


